Al via l’IVA per cassa

Operativa dal primo dicembre, la disciplina dell’IVA per cassa consentirà di versare l’IVA al momento dell’incasso del corrispettivo.
Si viene così ad arginare un fattore di forte criticità per le piccole e medie imprese, per quelle artigiane in primis.
L’introduzione avviene con il decreto legge 83/2012 (il così detto “decreto crescita”) che ha cambiato  l’attuale regime dell’IVA per cassa, allargando la platea dei potenziali interessati e modificando le regole applicative.
Ora, per le prestazioni di servizi, il momento di liquidazione dell’imposta sarà, per coloro che presentano un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro (circa il 95% delle imprese), il pagamento del corrispettivo e non più l’emissione della fattura.
Il cambio di prospettiva è evidente: il sistema precedente infatti portava indubbi vantaggi di tesoreria per coloro che ritardavano i propri pagamenti, comportando notevoli problemi finanziari per i fornitori, particolarmente per gli artigiani che nella quasi totalità dei casi svolgono attività di prestatori di servizi, che si trovavano a dover registrare fortissime tensioni di liquidità.
Anche questo criterio (esercitabile su opzione da parte del diretto interessato) non è perfetto, lascia inalterati alcuni nodi e crea delle difficoltà operative; in primis il regime non può essere esercitato verso i privati e, inoltre, per le piccole imprese che operano in contabilità semplificata sarà di fatto “obbligatorio” tenersi un registro della situazione di cassa e banca, ossia una specie di “prima nota”.
E’ evidente che questo criterio non basta da solo a sistemare la piaga dei cattivi pagatori (tra i quali, ahinoi, la pubblica amministrazione riveste un ruolo principale), e che occorrano altri ben più importanti strumenti; tuttavia un piccolo passo avanti che possa garantire un po’ di sollievo è ben accetto.

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L’ANNO DELLO SPREAD……


Manca ormai poco alla fine di quello che potremmo tranquillamente definire l’ ”anno dello spread”, l’anno in cui questo termine è entrato nel nostro vivere quotidiano grazie al continuo bombardamento da parte di tutti i media, che non ci hanno fatto mancare aggiornamenti sul differenziale BTP – BUND che saliva, sul differenziale che scendeva, sugli interessi insostenibili o meno del debito pubblico ecc….
Un fatto è certo, e cioè che tutti hanno più o meno capito che il termine spread sostanzialmente misura le differenze tra un paese ed un altro; ma quali sono queste differenze concrete? Uno studio recente della nostra organizzazione ha cercato di riassumere e fotografare quali sono questi divari tra Italia e Germania arrivando ad identificarne e misurarne una cinquantina. Per brevità ne consideriamo in questo articolo solo alcuni, quelli che riteniamo maggiormente significativi e di più immediata comprensione, più che sufficienti comunque a chiarire le idee.
Partiamo dalla pubblica amministrazione: l’elevata presenza dello stato nell’economia italiana è molto più profonda rispetto ad altri paesi ed è un costo aggiunto per le imprese, rendendole meno competitive e impedendone la crescita dimensionale, penalizzandone gli investimenti, rallentando lo sviluppo delle infrastrutture necessarie a sostenere il tessuto economico. Qualche esempio? Avviare un’attività in Italia costa quattro volte di più rispetto alla Germania, mentre ottenere una licenza di costruzione richiede 258 giorni contro i 97 della Germania (ben 161 in meno!!!!), pagandola peraltro circa 3 volte di più! E’ meglio non aver problemi con la giustizia civile (per una causa come quelle di lavoro ad esempio) perché il procedimento ha una lentezza insostenibile: sono necessari infatti 1210 giorni mediamente, cioè più di tre anni, mentre la media europea (Germania compresa per restare in tema) è di poco più di un anno.
Il livello del costo dell’energia inoltre è particolarmente elevato (il 20% in più), vista la nostra elevata dipendenza dall’estero negli approvvigionamenti energetici, conseguenza scontata di una “lungimiranza” della nostra classe dirigente nell’effettuare (?) una politica energetica adeguata.
Ultimo, ma non meno importante, è il dato della contraffazione e dell’evasione, la sintesi perfetta della piaga della concorrenza sleale; nel nostro stivale la quota di economia sommersa è circa il 21,2% del PIL (il 13,7% in Germania), mentre gli articoli contraffatti sequestrati sono 262 ogni 1000 abitanti. Lo stesso fenomeno in Germania è 9 volte inferiore.
Si potrebbe continuare ancora ma preferiamo fermarci qui per evitare al lettore che ha avuto la pazienza di arrivare fin qui  un pericoloso attacco di gastrite; crediamo tuttavia corretto cercare di intuire (numeri alla mano) quali sono i veri divari che il nostro paese ha con i principali concorrenti, divari in larga parte derivanti da una gestione statale che anziché aiutare spesso aggrava la voglia e la capacità di fare impresa delle nostre imprese artigiane e non, ricche di saper fare e di voglia di mettersi in gioco, ma soffocate da regole del gioco penalizzanti e a volte pure cervellotiche (anche qui non mancherebbero gli esempi…). Come si può capire il problema è articolato e strutturale….difficilmente sintetizzabile in un numerino….quello dello SPREAD.


Andrea Dal Corso

(da "Miranese Impresa" - Anno VIII - nr. 3 - dicembre 2012)